BENVENUTO NEL MIO BLOG

IN QUESTO SITO SONO INSERITI ALCUNI VIDEO E FOTO DELLE MIE OPERE E MOSTRE DI PITTURA AD OLIO, RECENTI E MENO RECENTI, SU ALCUNI QUADRI MI SOFFERMERO', DI TANTO IN TANTO, AD ILLUSTRARNE I CONTENUTI E LE TECNICHE ADOTTATE.

INSERIRO' INOLTRE QUALCHE APPUNTO TRATTO DAL MIO DIARIO E ALCUNI VIDEO DEI MIEI VIAGGI.


lunedì 4 novembre 2013

mercoledì 16 ottobre 2013

OSSERVAZIONI

Sull’ampio terrazzo, collocato in fondo alla zona calpestabile, vi è uno stendino, vuoto, in cui è appeso, con un gancio, un cestino colmo fino all’orlo di molle per tenere fermi i panni.
La leggera brezza fa muovere lentamente il contenitore su e giù, come fosse il pendolo di un orologio. Attraverso gli spazi aperti del parapetto, in lamiera verniciata bianca, ampi e regolari, si può, senza troppa fatica, scrutare, seduti , il panorama circostante.
Osservo e ascolto e, di tanto in tanto mi alzo per evitare gli ostacoli e rendere pienamente libero il mio sguardo al fine di poter apprezzare meglio ciò che vedo e sento.
Le due piscine di fronte, con l’acqua riscaldata dal cocente sole,  proiettano verso il cielo il colore blu dei loro fondali, unitamente  alle grida divertite dei suoi piccoli occupanti. Due secolari pini marittimi con la chioma un po’ inclinata, sembrano prostrarsi come riverenti verso uno dei manufatti e i suoi simpatici bagnanti , quasi come un gesto di protezione simile a quello della chioccia con i suoi pulcini.
Due tortore, incuranti del forte vocio, stanno tubando sopra il tetto del vicino caseggiato. Il chiasso s’interrompe per qualche attimo, quando nella vicina strada passa un automezzo dei pompieri che fa uso della sirena. Subito dopo riprendono i rumori.
Lo scrosciare dell’acqua, provocato dai tuffi e lo sbracciare dei bambini sembrano vibrazioni  di una musica naturale, disturbata soltanto dalle grida di soddisfazione degli astanti.

martedì 8 ottobre 2013

giovedì 3 ottobre 2013

lunedì 30 settembre 2013

lunedì 19 agosto 2013

martedì 6 agosto 2013

Scampagnata verso la malga.

Siamo partiti di buonora, eravamo una decina, il più anziano aveva novanta anni e il più giovane quattordici, alcuni portavano con sé il classico bastone e un piccolo zaino.               
A piedi ci siamo introdotti in un sentiero che portava alla malga Toraro, posta in una piccola altura sul monte omonimo.  L’itinerario prevedeva un percorso di circa otto-dieci chilometri.            
Verso le ore nove, nel tortuoso sentiero accidentato e in salita, avevamo già camminato per circa un chilometro. Di tanto in tanto ci fermavamo all’ombra di qualche raro cespuglio, per riposarci, al riparo dal cocente sole. Il cappello che avevamo in testa, non attutiva la veemenza dei raggi che ci invadevano tutt’intorno. In quelle pause il cane lupo di Bruno non si fermava, ma andava su e giù, come volesse perlustrare, per nostro conto, la zona circostante.              
Recuperate le forze, riprendevamo il cammino. Con il trascorrere del tempo, chiedevamo, con periodicità sempre più frequente, al novantenne Enrico se trovava delle difficoltà a proseguire. Lui rispondeva: “Tutto a posto, continuiamo tranquilli“.
Da inesperti  in quell’avventura, non avevamo portato con noi, né viveri né bevande, solo qualche indumento per proteggerci da possibili acquazzoni. Pensavamo fosse una leggera scampagnata. Nel cielo non vi erano nubi, pur tuttavia ogni tanto osservavamo la volta celeste per vedere se ve ne fossero in arrivo. A quell’altezza, 1950 metri, un temporale poteva svilupparsi in poco tempo e ci avrebbe sorpresi allo scoperto, in mezzo alla vegetazione e alle scoscese rive, privi di qualsiasi riparo.
I bastoni, oltre ad un lieve supporto, ci permettevano, qua e là di frugare, in mezzo all’erba per scoprire dei funghi nascosti. Tale ricerca era effettuata senza interrompere il passo. I numerosi tentativi, compiuti dagli astanti, non hanno dato alcun esito positivo.
Avevamo percorso qualche chilometro quando la stanchezza incominciava a farsi sentire. Non vi erano indicazioni e le strisce colorate dipinte nei massi di roccia, che di norma indicano il percorso del sentiero, non ci erano utili per stabilire a quale distanza si trovava la nostra meta. Ormai non potevamo tornare indietro erano già trascorse le 11,30 del mattino.               
Mi accostai a Enrico per verificare se era in grado di proseguire. Pur affaticato, non presentava segni di cedimento. La sua ferma volontà era di arrivare a destinazione. Dopo un paio di chilometri, è subentrato in noi lo sconforto. Nessuna casera, o baita all’orizzonte. Dopo un’ennesima sosta, un po’ prolungata rispetto alle precedenti, abbiamo deciso, costi quel che costi, di proseguire.  Ancora un chilometro, un po’ meno in salita e, alla fine, superata una tenue curva, abbiamo scorto là in alto, a una distanza valutabile in due chilometri, la malga. Le nostre forze, quasi per incanto hanno ripreso vigoria. Più ci avvicinavamo e più la malga, per l’effetto ottico, aumentava di dimensioni. Era collocata sopra un breve altopiano ed era attorniata da una mandria di mucche. Lasciate allo stato brado. Quando abbiamo imboccato la devianza che portava al casolare, a destra del sentiero che stavamo percorrendo, il viottolo pietroso era ornato da numerose macchie  circolari piene scure, erano gli escrementi delle mucche, che si erano essiccati. Camminavamo a zig zag per evitare di metterci i piedi sopra.  Uno della comitiva, distratto, ci scivolò  su, e, per cinquanta metri si è strofinato la scarpa sulla roccia e sull’erba per levarsi il concime non gradito. Quando cercavamo di superare l’ostacolo, una miriade di mosche si sollevava, dirigendosi verso ciascuno di noi, tanto che dovevamo gesticolare con le mani per allontanarle in modo che ritornassero da dove erano partite.
L’ultima salita è stata la più faticosa e, finalmente siamo arrivati! Un fuggevole sguardo intorno ci ha fatto scoprire delle grosse margherite, con un alto gambo, non erano altro che delle grandi  mazze da tamburo (i lepiota procera), funghi che prediligono le piane ben fertilizzate. Nessuna voglia di fermarci per raccoglierle, eravamo stremati!
La fame e la sete si facevano sentire, alcuni di noi avevano dei dubbi che potesse essere appagata in quell’ambito uggioso e solitario.
Due uomini di circa quaranta anni ci vennero incontro. Sembrava gradissero il nostro arrivo. Un modo, forse, per interrompere l’ isolamento attraverso inaspettati  contatti sociali.
La malga era dotata di grossi recipienti in lamiera arrugginita, senza coperchio, usati per il recupero dell’acqua piovana, per far fronte alle necessità di vita quotidiana. I vasi erano pieni quasi fino all’orlo. Nella superficie vi erano numerosi insetti, soprattutto mosche, in parte senza vita. Un po’ più sotto, vi era un bacino naturale, ricavato nel terreno, una pozza, in cui gli animali avrebbero potuto, secondo necessità, abbeverarsi. Infatti, tutto intorno vi erano le impronte di numerosi zoccoli e molti escrementi.
A lato della casa vi erano i locali, dove si preparava il formaggio che, al momento, non abbiamo voluto visitare.
Abbiamo chiesto se si poteva mangiare e bere qualcosa. Hanno risposto di sì. Hanno portato del vino in recipienti in vetro da due litri, del merlot, molto scuro e, con delle caraffe,  dell’acqua. Nessuno ha curato la distribuzione del suo contenuto. La cucina era invasa dalle mosche e, dopo qualche istante, alcune stavano nuotando entro la caraffa.                
Ci hanno offerto del pane biscotto, dalle grosse forme, estraendolo da un sacco di juta, poi, una grande “soppressa” (grosso insaccato di maiale Veneto) e del formaggio, di diversi tipi. Abbiamo mangiato e bevuto, tanta era la fame e la sete, senza proferir parola, con avidità e con piacere, apprezzando il desinare. Perfino il cane ha mangiato la parte finale della soppressa e qualche pezzo di formaggio, ed è stato il solo che ha fatto l’onore alla casa, bevendo l’acqua posta  in una piccola bacinella.
Abbiamo trangugiato tutto. Le mosche erano tante, ma ormai non ce ne accorgiavamo. Alla fine ci hanno proposto di farci il caffè. Uno dei proprietari stava per prendere da una mensola delle tazzine per versare la bevanda, lo abbiamo fermato, giusto in tempo, dicendogli che il caffè lo si poteva mettere nel bicchiere di plastica dove avevamo bevuto il vino. Così avrebbe evitato di lavare le chicchere. Una ipocrisia bella e buona. Era un modo per non bere nelle tazzine in ceramica bianca, che contornate da mosche, sembravano essere diventate nere.           
Hanno fatto il caffè con una grande moka posta sopra il piano di una cucina economica accesa.
Durante il pranzo è arrivato un viandante è entrato nella sala, dove stavamo mangiando, e con accento veneziano, ha chiesto a un dei proprietari se poteva fargli un caffè. Gliel’ha servito, dopo aver scacciato le numerose mosche, su una tazza in ceramica. Appena bevuto, se n’è andato senza chiedere il conto o perlomeno di ringraziare. 
Terminato il pranzo e pagato il conto, siamo andati a visitare il luogo in cui producevano il formaggio.
Prima di inserire il caglio nel liquido, posto in un grande calderone, con un guadino levavano le mosche sulla superficie del latte, poi via con il fuoco. Un gran fumo ci ha invasi tanto che alla spicciolata e in fretta siamo usciti da quell’ambiente. Nessuno di noi  ha comprato del formaggio.
Abbiamo gironzolato intorno alla malga per una mezz’ora. Uno dei vaccari, ci informò che, durante un temporale, un fulmine aveva ucciso una mucca e un’altra era caduta in un burrone, per entrambe non aveva potuto recuperare nulla. Ci disse che aveva fatto una gara per avere in affidamento quel territorio a pascolo. Per le vicissitudini avute in quell’anno, aveva deciso di non partecipano alla successiva competizione per l’ assegnazione della concessione.
Dopo aver salutato i gestori di quell’oasi sperduta, abbiamo incominciato a percorrere la strada del ritorno, che essendo spesso in discesa, non era faticosa. Infatti, nelle soste approfittavamo per guardare il paesaggio e la vegetazione circostante, ciò che avevamo trascurato durante la salita. Eravamo contenti dell’escursione e non ci sentivamo stanchi. In poche ore ci siamo trovati all’inizio del sentiero da dove eravamo partiti.
E’ stata, questa,  un’occasione per rafforzare i rapporti di conoscenza e di amicizia reciproca.  
Alcuni dei superstiti di quella gita, nelle reminiscenze del passato,  esprimono il desiderio di ritornare in quei luoghi sperduti ma ideali per apprezzare il paesaggio, il silenzio e l’atmosfera affascinante che promanano.
                                                                                                                                             Ilario Menegaldo
 
 

venerdì 5 luglio 2013

Breve pausa dalla canicola

La giornata è limpida, il sole risplende nel cielo elevando la temperatura alle calure di luglio.

In una stradina di campagna le alte siepi proiettano sulla carreggiata ombre frastagliate di  luce, dove il passante si rifugia per trovare un po’ di ristoro. Un leggero vento muove l’aria e, questo frangente, appaga il profugo come avesse assorbito una bibita fresca.

Là in fondo, al centro, oltre la strada, in un prato incolto, spicca verso la volta celeste un maestoso albero dalle ricche fronde di un verde intenso. All’orizzonte si vede una vecchia casa attorniata da viti secolari. Il silenzio, è quasi assordante, interrotto dal tubolare delle tortore, dal canto del gallo e dal gracchiare delle galline che si trovano oltre la siepe. Il momento è di pace. Il viandante conclude, con un respiro profondo,  l’osservazione e la sosta, in quest’angolo dai profili incantevoli, per continuare il cammino verso la sua meta.

lunedì 17 giugno 2013

giovedì 25 aprile 2013

giovedì 11 aprile 2013

OSSERVAZIONI NELL'ARTE


Quando dipingo un paesaggio, ritengo implicita la presenza dell’uomo laddove vi è: una casa, o semplicemente l’ombra di una casa riflessa in un prato, un albero potato, un campo d’erba, un giardino, una scultura, un vaso con fiori, dove esiste un qualsiasi manufatto, ecc.. Laddove ad esempio esistono dei pali che sostengono un argine, per me la presenza dell’uomo sarebbe superflua. Invece diventa indispensabile quando si vuol rappresentare l’attività dell’uomo come: la vendemmia, la pollivendola, il mercato, il trasporto di merci, lo sport come la canoa, il gioco di una bambina, ecc.. Ad esempio, nel quadro Casale, ho voluto rappresentare la bellezza della natura e dei suoi colori, in uno scorcio paesaggistico,  in perfetta simbiosi con l’attività umana, nonché la serenità e lo stato d’animo in cui l’autore si è inebriato nella composizione dell’opera. Se avessi inserito nel viale un personaggio che passeggiava, la lettura del quadro non poteva che essere diversa. Ciò che si dipinge deve ben rappresentare il messaggio che si vuol trasmettere. Talvolta certi scorci possono sembrare simili ma sono alcuni particolari e soprattutto le vibrazioni del colore che fanno la differenza, che devono far nascere in chi  li esamina sensazioni diverse.
                           Ilario Menegaldo

mercoledì 6 marzo 2013

PIOVE


Sono tre giorni che piove. Oggi il cielo è coperto di nuvole che, con il passare delle ore, si stanno lentamente diradando e, il sole filtra i suoi raggi di luce negli squarci che si sono aperti. L’aria pulita rende le persone più serene. Le possenti e numerose mareggiate hanno scompigliato l’arenile. La sabbia bagnata è di colore ocra scuro. In diversi punti la spiaggia ha cambiato forma e tonalità. La forza delle onde ha trasportato numerosi materiali sulla battigia e in gran numero li ha scagliati sull’arenile. Nei cumuli di cose sparse ovunque (tronchi d’albero, tavole, bottiglie di plastica, ecc.) frutto spesso dell’incuria dell’uomo, si scorgono oggetti inconsueti d’utilità domestica che i fiumi, a seguito delle recenti alluvioni, hanno portato al mare. Questi utensili raccontano, quasi inermi, al passante che li osserva la loro recente triste epopea.

Alla foce del fiume Livenza i cigni sono scomparsi. Sono emigrati in luoghi sicuri, per evitare la furia della burrasca.  S’intravede un peschereccio, di modeste dimensioni, con due persone a bordo, che con il mare mosso, sta uscendo dal fiume per la pesca. Forse esigenze di sopravvivenza hanno fatto loro sottovalutare il pericolo. L’imbarcazione fa forti sobbalzi in mare aperto. I pescatori virano e rientrano in darsena facendo cessare l’ansia dei familiari che a distanza li osservano. 
Ilario menegaldo

martedì 5 marzo 2013

venerdì 1 marzo 2013

venerdì 22 febbraio 2013

giovedì 21 febbraio 2013

martedì 19 febbraio 2013

mercoledì 13 febbraio 2013

lunedì 11 febbraio 2013

sabato 9 febbraio 2013

lunedì 4 febbraio 2013

domenica 3 febbraio 2013

mercoledì 30 gennaio 2013

domenica 27 gennaio 2013

giovedì 24 gennaio 2013

martedì 22 gennaio 2013

FATTI VERI


Fatti veri - Le vicissitudini che s’incontrano nella vita. Viveva in una villa con piscina, in una città dell’Emilia Romagna. Vestiva con eleganza. Figura esile, dal portamento raffinato e di aspetto giovanile. Aveva settanta anni ma ne dimostrava dieci in meno a causa del suo viso liscio e senza rughe. Ogni anno, durante l’estate, soggiornava in una località turistica montana in Veneto, per uno o due mesi. La temperatura fresca che le offriva la montagna, con i suoi mille e duecento metri di altezza, era una piacevole alternativa alle calde giornate estive della pianura. Occupava un appartamento, di proprietà, sito al primo piano, in un condominio, che si estendeva in modo verticale, con un’incantevole veduta. Di fronte vi era un’estesa vallata verde con molti ciliegi selvatici, circondata ai suoi limiti da alti monti che spesso si vedevano innevati. L’alloggio, di proprietà, era composto da due camere, sala da pranzo e servizi ed una cantina ricavata nel sottosuolo dal marito imprenditore. Con il consorte era in vera simbiosi, tanto che, spesso, faceva assieme lunghe ed intense escursioni, dedicandosi, con gran passione, alla raccolta di funghi. Ne conosceva circa trenta specie per cui il suo cestino, non era mai vuoto. Il coniuge, come molti ricercatori di funghi, al rientro, pur avendo il cestino pieno, affermava che non ne aveva trovati, e, attuava, in modo palese alcuni stratagemmi, per evitare che vi si guardasse dentro. Quando non poteva evitarlo, per l’insistenza degli interlocutori, manteneva comunque segreto il luogo in cui aveva trovato i funghi e rispondeva alle domande con risposte evasive, salvo, poi, acquisire, per farle proprie, informazioni sulle zone frequentate da altri. La Signora, discreta nei suoi comportamenti, non faceva mostra ai vicini dello stato di agiatezza in cui si trovava, derivante, in gran parte, dall’attività del marito nel campo dell’edilizia, in un periodo in cui il lavoro nella costruzione dei manufatti non mancava. La vacanza per lei era quasi sempre continua, mentre il consorte talvolta doveva sospenderla per esigenze attinenti ai cantieri in attività. Aveva due figli maschi sulla quarantina, di cui uno sposato. Dopo la morte improvvisa del marito, per due anni smise di recarsi nella casa di montagna. Quando riprese la frequentazione l'espressione era mutata ed i suoi occhi esprimevano una velata malinconia, il suo atteggiamento solare era quasi svanito. Con il passare del tempo diventava sempre più taciturna e perdeva le forme della sua esilità, dimostrando l'età che effettivamente aveva. Gli amici e i conoscenti del complesso estivo, in un primo tempo giustificavano il comportamento della donna, causato dalla perdita del compagno. Ma con il passare del tempo, privatamente, formulavano dei dubbi ritenendo che quella non poteva essere l’unica motivazione. Ipotesi, poi, che ha trovato conferma nel bilancio finanziario che l’Amministratore aveva allegato ad una lettera di convocazione dell’assemblea condominiale. Fra le somme dovute e non versate risultava un cospicuo importo a carico della Signora. Tanto che nell’incontro che si tenne alla data stabilita, l’Assemblea, dopo aver concesso un congruo termine affinché fosse possibile provvedere al saldo, aveva deliberato di procedere al recupero delle somme in via coattiva. Sulla scorta di qualche indiscrezione si venne a sapere che il figlio, più grande, in seguito ad un vizio di gioco, aveva contratto numerosi debiti, depauperando l’intero patrimonio di famiglia, ivi compreso l’immobile in cui risiedeva abitualmente la madre. L’unico stabile che rimase immune dal vortice delle alienazioni è rimasto quello in montagna. Il figlio per contribuire al parziale ripianamento del debito e salvare l’appartamento, si licenziò dal posto di lavoro e, con l’indennità di fine lavoro, estinse in parte il dovuto, impedendo, o per lo meno, rallentando la conseguente procedura giudiziaria. Ora la Signora, non avendo altro posto per vivere in pianura, si è trasferita, in quella che una volta chiamava la casa estiva, acquisendo anche la residenza. Con se ha portato il figlio e la nuora. Ai conoscenti e agli amici, non racconta le vicissitudini che gli sono occorse, soffre in silenzio. Probabilmente vuol proteggere ciò che gli resta della vita familiare. A chi gli chiede quanto tempo soggiornerà, risponde che questa volta intende fermarsi per alcuni mesi. Il suo senso di dignità la fa resistere fino in fondo! L’anno prossimo al ritorno dei villeggianti cosa racconterà? Forse niente, perché tutti eviteranno di far domande perché hanno capito che ha già sofferto e patisce abbastanza. Queste sono le vicissitudini della vita che incidono in modo drammatico sulle persone. Per analogia questo racconto si ritrova nella parabola che Gesù racconta del figliolo prodigo.
                                                                                      Ilario Menegaldo

martedì 15 gennaio 2013

lunedì 14 gennaio 2013

mercoledì 2 gennaio 2013

VIDEO DI ALCUNE OPERE

PITTURA AD OLIO

VIDEO 2 DI ALCUNE OPERE

VIDEO MOSTRA BIADENE DI MONTEBELLUNA (TV)

VIDEO MOSTRA DI MIRANO (VE)

VIDEO DI ALCUNE MOSTRE

VIDEO MOSTRA A SCORZE'

VIDEO: ANATRE, CIGNI E FOLAGHE NEL FIUME SILE E QUADRI AD OLIO

PITTURA AD OLIO - VIDEO MOSTRA DI ZERO BRANCO (TV)

MOSTRA A MASSANZAGO (PD)