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sabato 2 maggio 2009

RECENSIONE DEL DOTT. GIORGIO PISANELLO - FOTO MOSTRA





RECENSIONE DEL DOTT. GIORGIO PISANELLO DEL 02/05/2009 - MOSTRA DI ZERO BRANCO (TV)

La pittura di Menegaldo, sin dagli inizi, si è tutta risolta tra canali e casali, campi e prati, realizzando certamente un sogno di evasione lungamente vagheggiato ma anche quello studio dal vero che è progetto di ogni pittore: la sua è una pittura all’aperto, fuori dallo studio, en plein air, come ci hanno insegnato gli Impressionisti.
E’ un’immagine romantica quella dell’artista in caccia del suo soggetto, accompagnato da cavalletto e cassetta dei colori, mentre osserva e fissa anse e ristagni d’acqua, raduna e ridimensiona pioppeti, sfoltisce siepi già tagliate con giusta abilità dai proprietari, rettifica con competenza qualche insenatura del corso d’acqua, misura con il pennello le proporzioni del disegno per soddisfare le misteriose leggi della proporzione con abili giustapposizioni cromatiche, con sagome e fondi resi con pochi tocchi materici di colore, dissolti nella tela e nella forma da un pennellare sicuro e consapevole.

Al naturalismo, di matrice veneta che lo porta a studiare dal vero la natura, Menegaldo unisce un gusto singolare per la sua terra, intesa come spunto pittorico, pretesto cromatico, con tracce di compiacimento settecentesco, quel che appariva come rilevante originalità di un’arte semplice e virile, mestiere sapiente che suscita fascino e illusione.


Da buon colorista Menegaldo è attento ai valori prettamente pittorici del dipinto, alla scelta del taglio da dare alla composizione, quasi sempre frontale, ai rapporti coloristici, siano questi accordi o contrasti cromatici, abilmente elaborati e alla qualità della luce, ottenuta con l’abile uso del pennello piuttosto che della spatola.

La pennellata si è fatta sicura: s’appoggia nel quadro con tanta tenuità, raggruppa le masse con garbo, intona i colori con tanta armonia, pennelleggia con raggiunta maestria: Menegaldo presuppone la staticità, così come raccomanda la grammatica della pittura, non c’è cronaca, solo attimi raccolti dal divenire, fermati nella fluttuazione, attentamente sospesi nel piano attenuato della pulizia dei colori. Lo strumento stilistico scelto per tradurre in immagini le apparenze della realtà visibile è, in pittura, un segno che si infittisce e si dirada per esprimere la trama di relazioni degli oggetti fra loro e con loro nello spazio circostante. Poi disserta su nuclei e strutture, energia e dinamismo di pennellate stese per velature successive sulla tela. Le acque captano vibrazioni di luci attenuate e le trattengono nella continuità del fluire.
Con i suoi paesaggi fluviali si immerge nella tradizione del vedutismo e lo fa con garbo, lo fa con gioia.

Fanno parte del suo catalogo vedute dei luoghi dove lo conducono il suo gusto e la semplicità, le sue pause di silenzio, dove dialoga intimamente con il paesaggio restituendolo con pochi toni terrosi, di verde e di azzurro, tutta la vibrazione, l’incanto non artefatto di luci e ombre, il respiro ampio che hanno tanti prati e seminagioni nella nostra terra.

C’è stato un evidente sviluppo stilistico nell’attività pittorica di Menegaldo, con pennellate che hanno mutato sostanzialmente il loro appoggio, facendosi ora più minute e più disperse, accennando sembianze quasi lucide di vapori e specchi d’acqua, rispetto alla disposizione di tinte e al dinamismo delle solarità intense. L’ambientazione sempre sobria, virile e discreta, all’orizzonte la luce del Sile e dall’altra parte campanili, casolari e strade, tutto distribuito con avvedutezza, quasi con parsimonia, così l’appassionata campagna vi mantiene pienamente il suo signoraggio. Il paesaggio lungo il Sile in certe stagioni, si fa in effetti, incantevole, per l’aria purificata dai vapori estivi e per l’odore di fanghiglie; quando ogni cosa risulta mostrare contorni nitidi e precisi e tutto si colloca in un senso rievocativo e reverenziale, un modo di rapportarsi al paesaggio liberandolo dal condizionamento di una riconosciuta cultura pittorica.

Immagini solenni e silenziose della realtà campestre che appaiono testimoniare atteggiamenti introspettivi, legati all’idea che il paesaggio non abbia solamente attività mimetica della realtà, ma anche testimonianza dell’interiorità dell’esecutore, in cui tradurre pienamente e con maggior vigore tutta l’importanza del “plein air”. Realtà e sogno vengono così a fondersi anche nelle rappresentazioni dei paesaggi campestri e fluviali, completando quelle suggestive vedute, restituendone il senso consolatorio, l’armonia ancestrale, la sensibilità malinconica.

Si accenna alle poche nature morte presenti nella raccolta di elaborati per riferirne la particolare luce e la sicurezza tecnica dell’esecuzione, l’intelligenza e la suggestione di un esercizio culturale raffinato, la padronanza della luce e l’amabilità del risultato.

Dott. Giorgio Pisanello (2/5/2009)

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