Giuseppe, il geometra, era un
uomo esile, alto un metro e 70 cm., aveva circa 65 anni e li dimostrava tutti.
Non era sposato. Viveva nelle immediate vicinanze della città in una casa a due
piani con giardino, assieme alla mamma novantenne e ad una sorella non
maritata. Aveva svolto per diversi anni l’attività di imprenditore. Le sue ricchezze, per ingenuità, ad un certo punto erano
svanite, a causa della troppa fiducia in collaboratori sleali. Costoro
avvalendosi delle deleghe ricevute, avevano intrapreso, a sua insaputa,
operazioni a rischio tanto da portare l’azienda, in breve tempo, al disastro
economico. Da allora, si era ritirato dalla vita lavorativa. Negli ultimi tempi
il suo sostentamento era legato unicamente all’esigua pensione che percepiva e
quella della madre. La casa che occupava era di proprietà del fratello.
La sua gran passione era la
pittura. Aveva allestito, in due stanze, lo studio in cui trascorreva parte
delle sue giornate. Dipingeva, essenzialmente paesaggi e natura morta,
interponendo a loro, di tanto in tanto, la riproduzione di opere di grandi
pittori, dimostrando, con queste, una capacità d’esecuzione migliore dei suoi
dipinti “en plein air” o di fantasia. Tanto che una galleria gli commissionò la
copia di dieci dipinti su tela che alla consegna pagò regolarmente. Ne richiese altri dieci e, al ritiro, rinviò
il pagamento alla consegna successiva. Il prelievo di questi ultimi non è più
avvenuto e, al buon Giuseppe, sono rimaste le dieci copie dei dipinti ed un
credito mai riscosso.
Dopo aver frequentato lo studio
di un amico pittore, esperto in grafica, aveva ben appreso le tecniche tanto da
meritarsi dei riconoscimenti in alcune mostre collettive a concorso.
Un giorno un amico gli annunciò
di aver fornito il suo nominativo ad un conoscente, che aveva espresso il
desiderio di offrire agli invitati del proprio matrimonio un’opera in grafica
come bomboniera.
Giuseppe si prodigò a far
incorniciare una cinquantina di grafiche, che appese al muro di un’apposita
stanza, per dar modo al possibile acquirente di poter scegliere con facilità.
L’incontro è avvenuto e l’interessato si accordò sul numero di copie, il prezzo
e la data di fornitura. Il ritiro delle opere, poi, non avvenne poiché il
matrimonio, per intervenuti dissensi fra la coppia, non fu celebrato. Giuseppe
venne a conoscenza dell’imprevisto solo parecchi mesi dopo, e, in via
indiretta.
In lui era connaturato un
sentimento profondo sull’ospitalità, che peraltro elargiva, quasi inconsapevolmente,
a tutti coloro che lo andavano a trovare. Apriva la dispensa ed offriva, con
spontaneità, quasi bambinesca, quel poco che possedeva.
La mamma, inferma, era accudita
dalla sorella, la quale si faceva anche carico di tutte le incombenze domestiche.
Giuseppe si occupava soltanto degli approvvigionamenti della casa. Assolta quest’incombenza poteva dedicarsi
alle attività hobbistiche che più preferiva.
L’arte della pittura era il suo
mondo. Partecipava a numerose mostre sia nel suo comune sia in altre città
italiane. Era talmente appassionato in questa materia che seguiva anche le
trasmissioni televisive in cui le “Case d’arte” offrivano in vendita quadri di
pittura. Tanto che, una volta, si fece coinvolgere nell’acquisto di due quadri
privi di alcun valore intrinseco.
La sorella, più giovane di lui di
qualche anno, si ammalò di un male incurabile e dopo tre mesi morì.
Il modo di vita di Giuseppe, con
una rapidità sconvolgente, si capovolse.
Doveva accudire la mamma e farsi
carico di tutte le faccende domestiche. Il tempo da dedicare alla sua attività
artistica era ormai subordinato ai nuovi impegni, e, la partecipazione alle
mostre fu necessariamente interrotta.
Riuscì a sostenere questo tipo di
vita per quasi cinque anni e terminò quando la madre cessò di vivere.
Era rimasto solo con il suo cane,
cui era molto affezionato, un cocker di color marrone chiaro, che chiamava con
il nome di “Pongo”. Fra i due vi era una simbiosi che si poteva riscontrare
quando lo andavi a trovare. Il cane ubbidiva con prontezza ad ogni comando di
Giuseppe.
Questo connubio durò poco. Un
giorno Pongo, dopo aver girovagato nelle proprietà dei vicini, ritornò con
delle ferite profonde, presumibilmente provocate dal lancio di un forcone.
Nonostante le cure, il cane dopo alcuni giorni morì. La disperazione di
Giuseppe era enorme! Ora sentiva di essere veramente solo!
Un giorno uno dei suoi amici gli
fece visita e chiese di poter vedere i quadri nel suo studio. Giuseppe con
imbarazzo lo portò in uno stanzino dove aveva accatastato ciò che gli restava
delle sue attrezzature ed opere di pittura.
Il fratello gli aveva ridotto gli
spazi a sua disposizione e lo aveva relegato in due stanze (camera, cucina e
servizio) e, un piccolo magazzino. Non poteva più fruire del giardino e neanche
della piccola porzione di terra che aveva adibito ad orto. Poteva solo
avvalersi di un piccolo spazio scoperto, davanti all’entrata, in cui poteva
parcheggiare la sua vecchia automobile. Tanto che non era agevole entrare in
casa sua.
Da qualche tempo soffriva di
insufficienza respiratoria e, dopo una visita medica, dovette farsi ricoverare,
in un reparto specializzato, nell’ospedale di un’altra città. Si recò da solo,
guidando la propria macchina. Durante la
degenza, ogni tanto si assentava dalla camera dell’ospedale, per mettere in
moto l’automezzo, in modo che la batteria non si scaricasse e, poter così, una
volta guarito, ritornare nella propria abitazione.
Fu dimesso e lo dotarono di una
bombola d’ossigeno con le cannule collegate al naso. Con tale attrezzatura è
salito in macchina e si è avviato verso casa. Durante il percorso è stato
fermato, per controlli, da alcuni agenti della polizia stradale. Giuseppe ha
tirato giù il finestrino e, gli Agenti, rendendosi conto della situazione
l’hanno invitato a proseguire.
Da quella bombola non si è più
diviso. Gli era ormai indispensabile per vivere.
A parte qualche fuggevole visita
di amici e sporadici aiuti, Giuseppe cercò di sopravvivere da solo. Finché si
aggravò e dovette rifare, senza poter informare alcuno, il percorso verso
l’ospedale, dove dopo alcuni giorni cessò, in silenzio, di soffrire, senza
recare disturbo a nessuno.
La sua automobile, come
testimonianza, era parcheggiata al solito posto, con la batteria scarica.
Ilario Menegaldo
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