BENVENUTO NEL MIO BLOG
IN QUESTO SITO SONO INSERITI ALCUNI VIDEO E FOTO DELLE MIE OPERE E MOSTRE DI PITTURA AD OLIO, RECENTI E MENO RECENTI, SU ALCUNI QUADRI MI SOFFERMERO', DI TANTO IN TANTO, AD ILLUSTRARNE I CONTENUTI E LE TECNICHE ADOTTATE.
INSERIRO' INOLTRE QUALCHE APPUNTO TRATTO DAL MIO DIARIO E ALCUNI VIDEO DEI MIEI VIAGGI.
INSERIRO' INOLTRE QUALCHE APPUNTO TRATTO DAL MIO DIARIO E ALCUNI VIDEO DEI MIEI VIAGGI.
domenica 30 dicembre 2012
venerdì 28 dicembre 2012
Fuochi d’artificio a Caorle.
Nel
cielo la luna, tonda, scintillante e, con delle macchie, aveva l’apparenza di
un volto. Illuminava, attorniata da alcune stelle, un’ampia area senza luce. Di
fronte a noi il fiume Livenza scorreva lentamente, con un sommesso gorgoglio,
verso la vicina foce per immettersi nel mare Adriatico.
Due
cigni, con circospezione, si sono fatti vedere per alcuni istanti e, subito
dopo, in silenzio, sono scomparsi nella notte, quasi per non disturbare i
numerosi spettatori che, per non perdere l’esibizione, si erano anticipatamente
radunati, lungo gli argini del corso d'acqua. Alcuni erano seduti sul muretto,
con i piedi appoggiati sopra le rocce poste a protezione delle onde.
Dalla
vicina darsena numerosi natanti, con dimensioni e forme diverse, muniti di
fievoli luci, s’immettevano, con il sordo rumore dei motori, nel fiume, diretti
verso il mare, per assistere, in una posizione privilegiata, all’evento.
Nell’altra
sponda, vi erano dei piccoli caseggiati, attorniati da alberi, alcuni con delle
luci accese che si riflettevano debolmente sull’acqua, formando delle lunghe e
fluttuanti scie in direzione delle persone. Il faro, posto ai limiti del fiume
Livenza, continuava imperterrito ad inviare, ai naviganti, i previsti segnali
ad intermittenza.
Nel
contesto, l’unica nota che sembrava stonata, era la presenza di un ragazzo che,
con una canna, illuminata alla sua sommità, si era messo a pescare.
Lo
spettacolo pirotecnico doveva svolgersi in prossimità del Santuario della
Madonna dell’Angelo a Caorle in riva al Mare a circa due chilometri, in linea
d’aria, dalle nostre postazioni.
Dopo
la lunga attesa, ecco il primo scoppiettio, coperto in parte da un lieve
mormorio di compiacenza degli astanti.
Alcuni
genitori avevano sistemato i loro bambini sulle spalle, a cavalcioni, affinché
potessero vedere meglio.
Lo
spettacolo era meraviglioso, grandi cerchi con cascate scintillanti, di multiformi
colori, e, in cielo, la luna con il suo gran faccione sembrava assistere con
interesse allo show.
Di
alcuni fuochi d’artificio, di corta gittata, si sentiva solo il rumore, poiché
erano fuori della nostra vista e nascosti, nella traiettoria, dalle case e
dalla vegetazione. Per quelli visibili si poteva apprezzare la maestria della
loro composizione, condivisa peraltro, con entusiasmo, da una bambina che,
sopra la testa del papà, batteva, al loro apparire, le mani. Con tre forti
botti finali, si è conclusa la manifestazione. La gente ha incominciato a
muoversi e la strada, verso le case e i palazzi, si è riempita, in poco tempo,
di persone.
Eravamo,
forse, tutti parzialmente soddisfatti, per non aver visto alcuni fuochi e
ciascuno, in cuor suo, avrà certamente espresso il desiderio di assistere,
nella prossima edizione, allo spettacolo pirotecnico in loco.
Sono
queste, comunque, circostanze che stimolano i rapporti sociali e di amicizia
fra le persone.
mercoledì 26 dicembre 2012
venerdì 21 dicembre 2012
martedì 18 dicembre 2012
LA FEDELTA’ DI UN BASTARDINO
In una villa, fatiscente, situata
nell’immediata periferia della città, a nord del paese, viveva una donna
anziana, ultraottantenne di bel portamento.
L’alloggio, con accesso principale da un
grande ed alto cancello, mostrava ancora nelle sue armoniose strutture,
l’imponenza di un tempo. La donna condivideva l’edificio con altri familiari,
riservando per se, una piccola parte della casa.
Di fronte alla facciata principale, del caseggiato e ai
suoi lati, si estendeva un ampio giardino, da qualche tempo privo di qualsiasi
cura. Questo spazio, pur trascurato, lo utilizzava, per fare quattro passi,
soprattutto durante le giornate uggiose. Le era particolarmente caro
specialmente per far correre, in lungo e in largo, con i suoi gesti a comando,
il proprio amato cane, Elvi, un bastardino di color marrone.
Spesso lo portava, tutta felice, a fare un
giro lungo le strade adiacenti alla propria abitazione. Il cane le camminava a
lato, senza guinzaglio, e, se si fermava a chiacchierare con una conoscente,
aspettava, senza muoversi, che terminasse la conversazione. Talvolta la donna
allungava il percorso utilizzando una vecchia bicicletta. Il cane gli correva
appresso a breve distanza. Era un buon cane, amava giocherellare con i bambini
e la seguiva ovunque.
Il connubio tra i due è durato per qualche
anno. Con l’avanzare dell’età, accusò i primi acciacchi e, ritenne allora di
sospendere le uscite in bicicletta. Dopo qualche tempo ridusse anche i percorsi
a piedi. Alla fine si limitò a spostarsi unicamente all’interno del suo
giardino.
Per effetto di una parziale riduzione delle
capacità motorie, i familiari ritennero di collocarla in una casa di riposo, e,
da tre mesi, risiede in quel luogo.
La sua ex villa è collocata in una curva di
una strada alquanto frequentata, perciò quando ci si passa davanti è visibile
il grande cancello, e, ai lati, una rete metallica, oltre la quale si può
vedere all’interno, fermo, in posizione d’attesa il cane dell’anziana signora.
E’ lì tutti i giorni, con i suoi occhi languidi, ormai da tre mesi e, aspetta, aspetta, con la
speranza che ritorni. E’ l’attestazione più autentica di una fedeltà speciale.
Ho pensato di chiedere ai familiari di
portare Elvi a far visita alla sua padrona. Entrambi sarebbero, se pur per
breve tempo, appagati di una felicità immensa! Il mio proposito si è spento sul
nascere, perché oggi, Elvi, non era lì dietro alla rete. Dopo un lungo periodo
d’inedia, non ha resistito al vuoto e se ne è andato in silenzio, chiudendo gli
occhi senza alcun gemito.
Ilario Menegaldomercoledì 12 dicembre 2012
IN ASCENSORE
Quando entri in un ascensore e
trovi una persona, non inizi alcuna conversazione, poiché il tragitto è
talmente breve che non riusciresti a finire il discorso. Se la conosci ti
limiti al saluto. Se non la conosci guardi in continuazione in alto, in su, in
giù e davanti, e, quando, per caso, incroci gli occhi dell’altra/o giri subito
la testa, come per scusarti e far vedere che non l’hai fatto apposta. E’ una
sofferenza! Quando nel tuo piano la porta si apre, senza accorgerti, fai un respiro
un po’ più profondo perchè la situazione critica è finita. Ora ti puoi
rilassare!
martedì 11 dicembre 2012
giovedì 6 dicembre 2012
lunedì 3 dicembre 2012
Visita a Padova
Alle 7,09 siamo partiti con un
rapido da Treviso diretto a Padova. Durante le fermate intermedie sono saliti
in treno molti studenti che, con i loro movimenti, il vociferare e i limpidi
sorrisi, hanno reso più umano l’ambiente. Siamo giunti a Padova alle 8,20
circa. Dovevamo recarci all’Ospedale “S. Antonio” per una visita medica. Dopo
aver acquistato i biglietti in un’edicola, abbiamo preso l’autobus e, una volta
arrivati, dopo aver esperito le pratiche burocratiche di rito, abbiamo potuto
accedere all’ambulatorio. Alle 10,40 siamo usciti ed essendo stato l’esito
abbastanza positivo, eravamo psicologicamente un po’ sollevati. Abbiamo fatto
colazione nel bar di fronte all’uscita dell’Ospedale. Da quel momento eravamo
liberi ed intenzionati di visitare la città. La prima meta che ci siamo
proposti è stata quella di visitare la Basilica del Santo “Antonio”. Pensavamo
di farci condurre, a piedi, dal navigatore satellitare ma non riusciva a
connettersi al satellite poiché in cielo vi erano delle spesse nubi, cosicché
abbiamo dovuto chiedere ad un passante le necessarie indicazioni per arrivarci.
Circa un chilometro. Nel percorso di Via Jacopo Facciolati abbiamo potuto
apprezzare la bellezza di alcuni caseggiati d’epoca e di un fiume (sotto il
ponte di Pontecorvo passano il Canale di Santa Chiara, che più in la è il
Naviglio Interno e la canaletta dell'Alicorno, proveniente dal Prato della
Valle). Oltrepassata la porta di Ponte Corvo, superata la Piazza omonima
abbiamo proseguito per Via S. Francesco, dopo aver girato a sinistra per via
Melchiorre Cesarotti al termine della quale siamo giunti in Piazza del Santo.
Nel percorso abbiamo incontrato
alcuni mendicanti, un uomo sulla quarantina che suonava la fisarmonica ed aveva
sistemato davanti a se un cappello facendo appello alla generosità dei
passanti, più avanti uno in ginocchio, con in mano un pezzo di cartone in cui
non c’era scritto alcunché (probabilmente era al rovescio oppure era
consapevole che la gente avrebbe guardato la circostanza in modo distratto e
distaccato), ogni donazione la prendeva muovendo una mano in modo così veloce
da creare un contatto diretto con quella dell’offerente. Più oltre un altro, in
piedi, che cercava di avvicinarsi ad ogni passante e, palesemente, si potevano notare
le continue virate di chi lo incrociava.
Abbiamo ammirato la meravigliosa
struttura esterna della Basilica, frutto di tre ricostruzioni succedutesi negli
anni dal 1238 al 1310 e ora, in parte, in fase di restauro. Fuori del perimetro
del sagrato vi erano alcune bancarelle, di cui una sola aperta per la vendita
di immagini sacre e candele. Siamo entrati in chiesa passando sotto il portale
sinistro. Si stava celebrando una messa. Ci siamo sistemati lentamente a metà
della chiesa ed abbiamo assistito alla cerimonia. Terminata la funzione abbiamo
iniziato a visitare l’interno della Basilica. Molti anni fa c’ero stato con la
mia famiglia, ma non la ricordavo così ben provvista di pitture, affreschi e
sculture. La navata centrale ampia e spaziosa si distingue in due parti, quella
delle navate e quella dell’abside oltre il transetto, quest’ultima affrescata
di stile gotico nell’alzata e di diversa tipologia del gotico.
Più che i resti di decorazioni e dipinti,
colpiscono i numerosi monumenti funebri, che rivestono pilastri e altri spazi e
che risalgono soprattutto ai secoli XV-XVII. Vi si osserva sulla controfacciata
un affresco di Pietro Annigoni che raffigura S. Antonio che predica dal
noce.
Sulla prima colonna della navata
di sinistra si può ammirare la Madonna del Pilastro affrescata da Stefano da
Ferrara (metà del ‘300). La cappella del Santissimo detta dei Gattamelata
perché voluta dal condottiero Erasmo da Narni (1443) in stile gotico.
Sulla navata destra c’è la Cappella di San Giacomo voluta
da Bonifacio Lupi, marchese di Soragna (Parma) l’ambiente gotico è stato
realizzato da Andriolo de Santi scultore veneziano. Poi la Crocifissione un
capolavoro di Altichiero da Zevio (Verona) il massimo pittore Italiano della
seconda metà del ‘300.
Proseguendo si lascia a destra l'uscita che conduce al Chiostro della Magnolia e, più
avanti, l'entrata
verso la Sacrestia; a sinistra, invece, il complesso
presbiterio-coro chiuso da una superba cortina marmorea.
Nella Cappella delle benedizioni i fedeli amano ricevere la benedizione unitamente ad oggetti personali.
In questo contesto, abbiamo avuto modo, in quattro, di
ricevere la benedizione da un frate che l’ha estesa anche ad un oggetto di un
convenuto.
La Crocifissione (1983). - Le proporzioni, lo stacco e il risalto conferito dalla finta parete con cui è raffigurato il Crocifisso suscitano un'immediata forte reazione.
La Crocifissione (1983). - Le proporzioni, lo stacco e il risalto conferito dalla finta parete con cui è raffigurato il Crocifisso suscitano un'immediata forte reazione.
Uscendo
dalla cappella, guardiamo in alto per risollevarci l'animo nelle serene e alte
volte della parte absidale della Basilica. Proseguiamo lasciando a destra la Cappella americana o di santa Rosa da Lima (1586-1617) patrona
dell'America, delle Filippine e delle Indie occidentali; cui segue la Cappella germanica o di san Bonifacio
(673-755), grande evangelizzatore della Germania; infine la Cappella di santo Stefano,
primo martire cristiano, contenente chiari e agili affreschi dell'italiano
Ludovico Seitz (1907).
Visitiamo La Cappella gotica del Tesoro con le sue sei statue di marmo, dei Parodi.
Al di là
della balaustrata, il passaggio che consente di ammirare il "tesoro"
della Basilica, che dà il nome alla cappella e che è raccolto in tre nicchie
distinte che racchiudono reliquie di sant'Antonio e di altri santi.
Prima di
uscire ci siamo recati alla tomba di S. Antonio, collocata, temporaneamente, in
una Cappella sulla destra della parte centrale della Basilica. Ci siamo
fermati, come altri, in raccoglimento vicino al sarcofago e poi ci siamo seduti
su delle panche laterali in legno, formate da
particolari nicchie adatte ad accogliere i fedeli in forma singola.
Attorno
alla tomba sostavano in preghiera alcune persone di diverse etnie e con una
mano toccavano il sarcofago.
Usciti
dalla Basilica ci siamo diretti verso il gran piazzale di Prato della Valle con
l’intenzione di visitare la grandiosa Basilica di Santa Giustina, che si trova
ai margini del piazzale stesso. Siamo giunti nel momento in cui il sacrestano
chiudeva il portone di accesso, essendo ormai superato mezzogiorno.
Abbiamo
allora proseguito verso il centro del piazzale ed abbiamo visitato la parte
dedicata al passeggio, con i suoi ponti sul fiume e le numerose statue che
contornano le rive.
Il Prato
della Valle è certamente una delle più spettacolari ed
affascinanti piazze del mondo. Le acque attorno all'isola sono alimentate dal Canale Alicorno.
Verso la
parte nord, ai limiti della piazza vi era un mercatino con alcuni banchi di
frutta. Ci siamo avvicinati ed abbiamo passato in rassegna i prodotti esposti.
Frutta e verdura dai colori vivaci, di ottima qualità e, soprattutto, con i
prezzi più competitivi di quelli praticati nella città di Treviso.
Essendo
ormai l’ora di pranzo ci siamo messi in cammino per trovare un locale in cui
poterci ristorare.
Nel
percorso qualche sguardo rapido alle vetrine, qua e là, per individuare ciò che
cercavamo. Abbiamo percorso un lungo viale e siamo arrivati in via
dell’Università, sino a giungere davanti alla sede Universitaria, dove alcuni
amici e parenti festeggiavano la laurea appena conseguita da una giovanissima e
bella ragazza.
Proseguendo
abbiano superato alcuni bar, con dei tavoli all’esterno occupati da numerosi
studenti che stavano desinando con dei panini e delle bibite.
Dopo
qualche centinaio di metri abbiamo trovato un bar-ristorante in cui abbiamo
potuto pranzare in modo un po’ frugale.
Il cielo
nel frattempo si era rasserenato.
Dopo circa
45 minuti ci siamo rimessi in cammino per completare la visita alla città.
Abbiamo passeggiato, quasi sempre, sotto a dei lunghi portici in cui vi si
trovavano numerose vetrine. All’esterno di una libreria, un giovane uomo, di
colore, offriva ai clienti che uscivano dal negozio dei libri che teneva in
mano, senza insistere molto.
Abbiamo
camminato in lungo in largo per circa due ore, scorgendo di tanto in tanto
resti di mura veneziane, dopo di che abbiamo preso, davanti al piazzale del
Santo, un piccolo autobus diretto alla stazione. Dopo circa 20 minuti, con le
ruote che rombavano su strade secondarie di porfido e ciottolato, siamo
arrivati alla stazione. Abbiamo controllato sulle bacheche l’ora di partenza del
treno per Treviso e il relativo binario. Nell’attesa ci siamo accomodati in una
panchina, abbiamo osservato il via vai dei passeggeri nonché la movimentazione
dei clienti in un negozio di scarpe all’interno della stazione. Una zingara
chiedeva l’elemosina e, al sopraggiungere di due vigili, si è affrettata a
dileguarsi.
Alle 4,28
abbiamo preso il treno e alle 17,30 circa eravamo a Treviso.
Dalla
stazione a casa abbiamo fatto la strada a piedi.
La giornata si era conclusa appagati dal buon
esito dell’esplorazione.
Ilario Menegaldo
domenica 2 dicembre 2012
venerdì 30 novembre 2012
mercoledì 28 novembre 2012
domenica 25 novembre 2012
PENSIERI
Oggi c’è una leggera brezza,
dagli alberi cadono le foglie, gialle rossicce e marrone. Si posano lentamente
sul selciato. Una rincorre l’altra e, poi, un’altra ancora, senza sosta ad
intervalli non regolari. Il terreno piano piano diventa un soffice tappeto
variegato di colori autunnali e modifica la cromaticità del paesaggio.
Sopra il muretto di cinta di una casa c’è una pila crescente di foglie.
Il caco mette a nudo i suoi frutti. Alcuni uccelli (tordi e merli) con astuzia si preparano il pasto picchiando più volte con il becco sul caco non maturo. Guastandosi anticiperà la maturazione e sarà pronto per essere cibato.
Alcuni alberi giallo rossiccio s’impongono in mezzo a due pini e ad una tuja.
La tonalità dei colori è magica, i gialli variano: da quello pallido al più intenso sino al rossiccio.
In alcuni cespugli, a foglia caduca, si intravedono alcuni nidi abbandonati.
I platani, quasi spogli dalle foglie ocra scuro, fanno scorgere i loro arbusti e le ramificazioni maculate di bianco e marrone.
Le foglie gialle e rosse hanno avvolto, qua e là, un pino nano, dando ad esso la parvenza di un bellissimo albero di Natale pieno di balocchi.
E’ l’ora del pittore, deve cogliere l’istante e riportarlo sulla tela. Non deve indugiare nella composizione perché le immagini stanno rapidamente cambiando: l’intensità della luce, le ombre e la vegetazione esuberante sta divenendo sempre più brulla.
Sopra il muretto di cinta di una casa c’è una pila crescente di foglie.
Il caco mette a nudo i suoi frutti. Alcuni uccelli (tordi e merli) con astuzia si preparano il pasto picchiando più volte con il becco sul caco non maturo. Guastandosi anticiperà la maturazione e sarà pronto per essere cibato.
Alcuni alberi giallo rossiccio s’impongono in mezzo a due pini e ad una tuja.
La tonalità dei colori è magica, i gialli variano: da quello pallido al più intenso sino al rossiccio.
In alcuni cespugli, a foglia caduca, si intravedono alcuni nidi abbandonati.
I platani, quasi spogli dalle foglie ocra scuro, fanno scorgere i loro arbusti e le ramificazioni maculate di bianco e marrone.
Le foglie gialle e rosse hanno avvolto, qua e là, un pino nano, dando ad esso la parvenza di un bellissimo albero di Natale pieno di balocchi.
E’ l’ora del pittore, deve cogliere l’istante e riportarlo sulla tela. Non deve indugiare nella composizione perché le immagini stanno rapidamente cambiando: l’intensità della luce, le ombre e la vegetazione esuberante sta divenendo sempre più brulla.
Ilario Menegaldo
martedì 20 novembre 2012
domenica 18 novembre 2012
IL MERLO E LA NEVE.
Oggi, al primo bagliore del mattino ha iniziato a nevicare in modo
cospicuo. Folate di vento facevano roteare la neve come una turbine.
Predominante era il silenzio degli uccelli, soprattutto dei passeri soliti a
cinguettare nelle prime ore dell’alba. Una coppia di merli razzolava sul
sottile strato di neve, che nel frattempo si era depositato sul terreno. La
femmina era marrone con la coda inzuppata di neve e, il maschio tutto
sgargiante aveva le penne di un nero vigoroso. Cercavano, nell’angolo di un
muretto, del cibo, forse qualche verme, un seme o una briciola di pane.
L’intensità del loro agire e il prolungarsi della loro ricerca facevano
presagire l’assenza di qualcosa di commestibile. Pur tuttavia imperterriti non
smettevano la loro azione. Sono rimasti lì anche quando, è passato loro vicino,
un frettoloso passante, avvinghiato da un pesante pastrano con sciarpa e
berretto, tutto proteso ad osteggiare il vento che voleva strappargli
l’ombrello. Guardandoli provocavano tenerezza! Il desiderio di sopravvivenza
dava loro la carica a non smettere, per superare le difficoltà del momento,
quasi protetti nell’agglomerato urbano, in cui alloggiano e, gli abitanti,
quasi inconsapevolmente, forniscono loro le condizioni d’esistenza.
Ilario Menegaldo
martedì 13 novembre 2012
IL PASSERO ASTUTO.
Alla periferia di un paesino, in prossimità della
città e, all’interno di una zona agricola, in una casa rurale ristrutturata,
con uno spazio verde, recintato, di circa dieci mila metri quadrati, Marta, la padrona, aveva appena sparso diverse
briciole di pane e numerosi pezzetti di crosta di formaggio, fuori della porta
della cucina, sopra a delle grandi pietre in porfido, che fungevano da
marciapiede e, che collegavano l’entrata della cucina alla stradina che
conduceva al passo carraio. Non era la prima volta che compiva questa azione.
Tanto è l’amore che ha per la natura e per gli uccelli che in gran numero
frequentano il suo giardino. Fornisce loro periodicamente del cibo, quasi per
ripagarli del piacere della loro vista e, della musica che le offrono, nel
silenzio della campagna, con i loro prolungati gorgheggi, fischi e cinguettii.
Attraverso il vetro della finestra e della porta
della cucina, si potevano vedere diversi passeri che svolazzavano e
saltellavano circuendo con circospezione lo spazio in cui si trovavano le
provvidenziali provviste. Muovevano in continuazione le loro piccole teste, per
scrutare eventuali pericoli. Un merlo adulto, dal colore nero brillante, si è
avvicinato senza troppe esitazioni, anticipando i propositi dei passeri, ha
afferrato con rapidità un grosso pezzo di formaggio e, tenendolo stretto con il
becco, è volato più in là di qualche metro fermandosi vicino ad una siepe, con
l’intenzione di inghiottirlo senza essere disturbato. Due passeri, che si trovavano
nelle retrovie, non hanno sottovalutato la scena e l’hanno subito raggiunto. Il
merlo, appena si sono avvicinati, capendone le intenzioni, si è subito spostato
saltellando. Per entrambi i passeri, il primo tentativo di sottrargli il pezzo
di formaggio è risultato infruttuoso. Alla seconda prova il passero più
solerte, con un saltello svelto, è riuscito a togliergli dal becco il bottino e
volare via. Il merlo ha rinunciato ad inseguirlo ed è ritornato nella zona in
cui il cibo ancora abbondava. Dopo aver riempito il becco è volato via, e,
quando si è posato sull’erba, ha trovato ancora ad insidiarlo altri passeri. Ha
dovuto andarsene per soddisfare il proprio appetito.
Il
merlo si era approvvigionato sfidando i velati pericoli che il contesto poteva
riservargli. I passeri invece, con le loro movenze, volevano evitare ogni
situazione di pericolo, rubando al merlo ciò che si era giustamente guadagnato.
La scena sembrava quasi attingere dal comportamento dell’uomo che talvolta
approfitta delle fatiche altrui per ottenere vantaggi economici o d’immagine
non meritati.
Ilario Menegaldodomenica 11 novembre 2012
LE SOFFERENZE DEL PITTORE GIUSEPPE
Giuseppe, il geometra, era un
uomo esile, alto un metro e 70 cm., aveva circa 65 anni e li dimostrava tutti.
Non era sposato. Viveva nelle immediate vicinanze della città in una casa a due
piani con giardino, assieme alla mamma novantenne e ad una sorella non
maritata. Aveva svolto per diversi anni l’attività di imprenditore. Le sue ricchezze, per ingenuità, ad un certo punto erano
svanite, a causa della troppa fiducia in collaboratori sleali. Costoro
avvalendosi delle deleghe ricevute, avevano intrapreso, a sua insaputa,
operazioni a rischio tanto da portare l’azienda, in breve tempo, al disastro
economico. Da allora, si era ritirato dalla vita lavorativa. Negli ultimi tempi
il suo sostentamento era legato unicamente all’esigua pensione che percepiva e
quella della madre. La casa che occupava era di proprietà del fratello.
La sua gran passione era la
pittura. Aveva allestito, in due stanze, lo studio in cui trascorreva parte
delle sue giornate. Dipingeva, essenzialmente paesaggi e natura morta,
interponendo a loro, di tanto in tanto, la riproduzione di opere di grandi
pittori, dimostrando, con queste, una capacità d’esecuzione migliore dei suoi
dipinti “en plein air” o di fantasia. Tanto che una galleria gli commissionò la
copia di dieci dipinti su tela che alla consegna pagò regolarmente. Ne richiese altri dieci e, al ritiro, rinviò
il pagamento alla consegna successiva. Il prelievo di questi ultimi non è più
avvenuto e, al buon Giuseppe, sono rimaste le dieci copie dei dipinti ed un
credito mai riscosso.
Dopo aver frequentato lo studio
di un amico pittore, esperto in grafica, aveva ben appreso le tecniche tanto da
meritarsi dei riconoscimenti in alcune mostre collettive a concorso.
Un giorno un amico gli annunciò
di aver fornito il suo nominativo ad un conoscente, che aveva espresso il
desiderio di offrire agli invitati del proprio matrimonio un’opera in grafica
come bomboniera.
Giuseppe si prodigò a far
incorniciare una cinquantina di grafiche, che appese al muro di un’apposita
stanza, per dar modo al possibile acquirente di poter scegliere con facilità.
L’incontro è avvenuto e l’interessato si accordò sul numero di copie, il prezzo
e la data di fornitura. Il ritiro delle opere, poi, non avvenne poiché il
matrimonio, per intervenuti dissensi fra la coppia, non fu celebrato. Giuseppe
venne a conoscenza dell’imprevisto solo parecchi mesi dopo, e, in via
indiretta.
In lui era connaturato un
sentimento profondo sull’ospitalità, che peraltro elargiva, quasi inconsapevolmente,
a tutti coloro che lo andavano a trovare. Apriva la dispensa ed offriva, con
spontaneità, quasi bambinesca, quel poco che possedeva.
La mamma, inferma, era accudita
dalla sorella, la quale si faceva anche carico di tutte le incombenze domestiche.
Giuseppe si occupava soltanto degli approvvigionamenti della casa. Assolta quest’incombenza poteva dedicarsi
alle attività hobbistiche che più preferiva.
L’arte della pittura era il suo
mondo. Partecipava a numerose mostre sia nel suo comune sia in altre città
italiane. Era talmente appassionato in questa materia che seguiva anche le
trasmissioni televisive in cui le “Case d’arte” offrivano in vendita quadri di
pittura. Tanto che, una volta, si fece coinvolgere nell’acquisto di due quadri
privi di alcun valore intrinseco.
La sorella, più giovane di lui di
qualche anno, si ammalò di un male incurabile e dopo tre mesi morì.
Il modo di vita di Giuseppe, con
una rapidità sconvolgente, si capovolse.
Doveva accudire la mamma e farsi
carico di tutte le faccende domestiche. Il tempo da dedicare alla sua attività
artistica era ormai subordinato ai nuovi impegni, e, la partecipazione alle
mostre fu necessariamente interrotta.
Riuscì a sostenere questo tipo di
vita per quasi cinque anni e terminò quando la madre cessò di vivere.
Era rimasto solo con il suo cane,
cui era molto affezionato, un cocker di color marrone chiaro, che chiamava con
il nome di “Pongo”. Fra i due vi era una simbiosi che si poteva riscontrare
quando lo andavi a trovare. Il cane ubbidiva con prontezza ad ogni comando di
Giuseppe.
Questo connubio durò poco. Un
giorno Pongo, dopo aver girovagato nelle proprietà dei vicini, ritornò con
delle ferite profonde, presumibilmente provocate dal lancio di un forcone.
Nonostante le cure, il cane dopo alcuni giorni morì. La disperazione di
Giuseppe era enorme! Ora sentiva di essere veramente solo!
Un giorno uno dei suoi amici gli
fece visita e chiese di poter vedere i quadri nel suo studio. Giuseppe con
imbarazzo lo portò in uno stanzino dove aveva accatastato ciò che gli restava
delle sue attrezzature ed opere di pittura.
Il fratello gli aveva ridotto gli
spazi a sua disposizione e lo aveva relegato in due stanze (camera, cucina e
servizio) e, un piccolo magazzino. Non poteva più fruire del giardino e neanche
della piccola porzione di terra che aveva adibito ad orto. Poteva solo
avvalersi di un piccolo spazio scoperto, davanti all’entrata, in cui poteva
parcheggiare la sua vecchia automobile. Tanto che non era agevole entrare in
casa sua.
Da qualche tempo soffriva di
insufficienza respiratoria e, dopo una visita medica, dovette farsi ricoverare,
in un reparto specializzato, nell’ospedale di un’altra città. Si recò da solo,
guidando la propria macchina. Durante la
degenza, ogni tanto si assentava dalla camera dell’ospedale, per mettere in
moto l’automezzo, in modo che la batteria non si scaricasse e, poter così, una
volta guarito, ritornare nella propria abitazione.
Fu dimesso e lo dotarono di una
bombola d’ossigeno con le cannule collegate al naso. Con tale attrezzatura è
salito in macchina e si è avviato verso casa. Durante il percorso è stato
fermato, per controlli, da alcuni agenti della polizia stradale. Giuseppe ha
tirato giù il finestrino e, gli Agenti, rendendosi conto della situazione
l’hanno invitato a proseguire.
Da quella bombola non si è più
diviso. Gli era ormai indispensabile per vivere.
A parte qualche fuggevole visita
di amici e sporadici aiuti, Giuseppe cercò di sopravvivere da solo. Finché si
aggravò e dovette rifare, senza poter informare alcuno, il percorso verso
l’ospedale, dove dopo alcuni giorni cessò, in silenzio, di soffrire, senza
recare disturbo a nessuno.
La sua automobile, come
testimonianza, era parcheggiata al solito posto, con la batteria scarica.
Ilario Menegaldo
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FATTI VERI - le sofferenze di Giuseppe
mercoledì 7 novembre 2012
GESTI DA IMITARE
GESTI DA IMITARE.
Nel cielo la luna, quasi piena,
brillava come una palla di fuoco e, il mare rifletteva i suoi colori. Le
leggere onde li trasformavano in mille incantevoli sfumature.
Sulla terrazza, ai limiti della
spiaggia, il Disc Jockey coinvolgeva, con grande abilità, il pubblico, rendendo
l’intrattenimento interessante anche ai più riservati.
Lo spazio libero, antistante
l’area della musica, era occupato, su sollecitazione del DJ da alcune coppie
che nel ballo classico davano il meglio di sé.
Da un lato vi erano numerosi
tavolini, alcuni con due o quattro persone, in uno vi erano sedute accanto, due
ragazze austriache di cui una molto bella. Sorseggiavano, in un grande
bicchiere, una bevanda di colore arancio. Alle loro spalle, una mamma e la figlia,
affetta da sindrome di Down, ascoltavano la musica.
Nell’altro versante della sala vi
era un lungo tavolo con venticinque persone attorno che cenavano: amici e
conoscenti che celebravano una ricorrenza. Dietro a loro un tavolo con una
famiglia: una coppia di giovani sposi, due genitori (dai lineamenti i parenti
di lei) e, una bambina tredicenne brasiliana di colore, che festeggiava il
compleanno.
Quando l’orchestra ha iniziato a
suonare ritmi brasiliani, la bambina ha incominciato a ballare dando sfogo alla
sua vitalità, con grande passione, coinvolgendo i genitori adottivi e, più
volte, anche i nonni. Osservando le espressioni dei loro volti, il sorriso
della bambina, del papà e soprattutto della mamma, emergeva una scena di vita
bellissima, in cui l’affetto era il protagonista. L’atmosfera era di una grande
tenerezza. Dagli occhi di tutti e tre sprizzavano lampi di gioia che ti
coinvolgevano. Sorrisi in perfetta simbiosi tra di loro.
Il DJ ha fatto salire la bambina
su una sedia per mimare, da protagonista, i ritmi di una canzone, facendo anche
partecipare la gran parte dei presenti e, al passaggio di un venditore, di
colore, che vendeva rose rosse ne ha comprato una e, con il microfono ha
scandito: “Ora do questa rosa alla più bella ragazza della serata”, carpendo,
ovviamente, l’attenzione dei presenti. Si è avvicinato alle due ragazze
austriache, le ha oltrepassate, ed ha offerto la rosa alla ragazza Down. Dal suo volto ho visto una gioia grande,
indescrivibile, che si rifletteva conseguentemente su quella della mamma.
Ho pensato, questo è un animatore
non solo professionalmente valido ma soprattutto umano e conosce la
“solidarietà”. Ci ha dato un bel esempio! Bravo ho pensato in cuor mio!
La serata è continuata con la
medesima atmosfera.
Quando i genitori della bambina
brasiliana si sono alzati, per abbandonare la sala, hanno ringraziato per il
coinvolgimento, qualcuno ha detto loro: “Grazie a voi perché ci avete appagato
con i vostri sorrisi!
E’ importante saper guardare le grandi
sfumature della vita, in quanto sono preziose per arricchirti nei valori, che
dovrebbero essere insiti in ciascun di noi.
domenica 4 novembre 2012
giovedì 1 novembre 2012
mercoledì 31 ottobre 2012
domenica 28 ottobre 2012
giovedì 25 ottobre 2012
sabato 20 ottobre 2012
mercoledì 17 ottobre 2012
sabato 13 ottobre 2012
giovedì 11 ottobre 2012
mercoledì 10 ottobre 2012
martedì 9 ottobre 2012
sabato 6 ottobre 2012
venerdì 5 ottobre 2012
mercoledì 3 ottobre 2012
domenica 30 settembre 2012
mercoledì 26 settembre 2012
martedì 25 settembre 2012
lunedì 24 settembre 2012
domenica 23 settembre 2012
venerdì 21 settembre 2012
mercoledì 19 settembre 2012
martedì 18 settembre 2012
domenica 16 settembre 2012
venerdì 14 settembre 2012
giovedì 13 settembre 2012
domenica 9 settembre 2012
sabato 8 settembre 2012
venerdì 7 settembre 2012
giovedì 6 settembre 2012
RIFLESSIONE
Quando
hai completato l’allestimento di una mostra di pittura e scultura, osservi, più
volte, il suo insieme per sezioni e, per entrambi le compagini. Per maggior
obbiettività, lo fai il giorno dopo, al fine di poter meglio correggere, se necessario,
eventuali incongruenze che possono essersi verificate nella simbiosi
dell’accostamento del quadro alla scultura. Tutto ciò per il perfetto
equilibrio cromatico tra “forme e colori”. Questo per poter rendere l’esposizione gradevole ed interessante
e, per mettere in condizione il
visitatore di poter recepire l’effettivo messaggio e qualità artistica profferta.
Il
nostro sodalizio: “Insieme per l’arte”,
sorto con analoghe finalità, limita, in virtù di oltre un decennio di
attività comune, i tempi d’intesa, per
la realizzazione degli obbiettivi appena esposti.
Dopo
i ritocchi finali, ti prepari ad accogliere il pubblico. Talvolta le tue attese
sono ampiamente appagate dai risultati, essenzialmente per il numero dei
visitatori che frequentano la mostra e per le osservazioni positive che alcuni
esprimono, con competenza, suffragati spesso dal forte amore per l’arte. Altre
volte, pur avendo organizzato il servizio di pubblicità inappuntabile: locandine,
inviti, stendardi, totem, articoli sui giornali, ecc., ecc., e aver scelto il
luogo di esposizione prestigioso, registri una scarsa affluenza. Ti soffermi
allora a esaminarne le cause. Valuti se nell’ambito dell’organizzazione hai
omesso qualche passaggio, o se dovevi assumere delle iniziative con qualche
variabile. Talvolta dipende dalla sensibilità per l’arte degli abitanti del
luogo, altre volte per la simultaneità di altre iniziative. La partecipazione alla
mostra e la sua organizzazione in modo diretto, fa comunque vivere le tue opere
che altrimenti sarebbero relegate in spazi, talvolta angusti, del tuo studio. Rinvigorisce
la carica che hai dentro per l’arte. Consolida l’amicizia con le persone che
collabori. Tutto questo è importante, ti fa vivere bene e, ti sostiene nei
momenti di difficoltà che sovente incontri.
Ilario Menegaldo
mercoledì 5 settembre 2012
martedì 4 settembre 2012
sabato 1 settembre 2012
lunedì 27 agosto 2012
giovedì 23 agosto 2012
TALVOLTA I BAMBINI DANNO INCONSAPEVOLMENTE LEZIONI DI VITA!
A mezzogiorno, il
sole infuocato splendeva nel cielo limpido. La sabbia sulla spiaggia era
asciutta, calda, e scottava i piedi nudi. Per lenire la sofferenza le persone, in
movimento, saltellavano con rapidità sino al proprio spazio d’ombra. L’arena
era bagnata dalle onde di un mare calmo che rifletteva, se pur con maggior
intensità, l’azzurro del cielo.
A poche miglia
dalla riva numerose barche facevano sfoggio delle loro meravigliose vele. Più
vicino, alcuni pedalò, in gran movimento, erano utilizzati da ragazzi, che, per
gara si tuffavano nell’acqua e, poi, nuotando risalivano rapidamente nel mezzo
acquatico per ripetere la prodezza. Nello spazio in cui si esibivano, non vi
erano bagnanti, mentre più in qua la superficie del mare era invasa da miriadi di
teste galleggianti che scomparivano nei flussi e poi riemergevano.
Numerosi ombrelloni
dalle tinte variegate e dai colori vivaci occupavano, con dimensioni e forme diverse,
la parte della spiaggia libera, quasi addossati uno sull’altro e disposti in
modo casuale. Di là dal muretto e, al di qua, dove la spiaggia è assegnata in
concessione agli stabilimenti balneari e ad alcuni condominii, i colori e le
forme degli ombrelloni si presentavano omogenei, così come le sedie a sdraio. Le
aree riservate agli utilizzatori, erano abbastanza spaziose e, le attrezzature,
tra un gestore e l’altro, per esigenze di visibilità, erano nel loro insieme, diverse
per struttura e tinta.
Quest’ambiente, piuttosto
caotico, a un tratto, si è quasi offuscato, e la mia attenzione è stata
attratta da una scena di vita che merita di essere descritta:
Oltre al muretto,
vicino a due sedie a sdraio e a un ombrellone, vi era in costruzione un castello
di sabbia. Due bambini della stessa altezza e della medesima età (circa quattro
anni), stavano arrivando dal bagnasciuga con un secchiello pieno d’acqua, diretti
verso il loro cantiere per ultimare i lavori. Il recipiente era pieno sino
all’orlo, ma l’acqua non tracimava, poiché era tenuto dai protagonisti in
perfetto equilibrio. Un bambino teneva il manico con la mano sinistra e l’altro
con la mano destra. I loro sguardi trasmettevano una felicità travolgente. Il
bambino di sinistra era di pelle nera e quello di destra di pelle bianca. Perfetta
integrazione di razze!
Dovremo prendere
esempio dalla genuinità di queste scene per mettere al bando le incomunicabilità tra i popoli.
Ilario Menegaldo
lunedì 20 agosto 2012
domenica 19 agosto 2012
domenica 12 agosto 2012
lunedì 6 agosto 2012
UNA GIORNATA A VENEZIA
VISITA A VENEZIA
Ci siamo svegliati
presto. Il treno, regionale, che dovevamo prendere per Venezia partiva da
Treviso alle 17,14. Per evitare di pagare il ticket nel parcheggio adiacente
alla stazione per la durata della nostra assenza, prevista per l’intera
giornata, avevamo preso in considerazione la possibilità di recarci nel luogo in
bicicletta. Nostro figlio Alberto, che abitualmente esce da casa alle ore sette,
per essere al lavoro alle otto, ha anticipato, per evitarci il disagio, le sue consuetudini,
e ci ha portato con l’automobile
davanti alla stazione. In questo modo
siamo riusciti a prendere, senza alcuna difficoltà, il previsto treno.
La giornata si
presentava afosa.
Abbiamo trovato sistemazione
in un vagone di seconda classe. Era in funzione l’aria condizionata, per cui
l’ambiente era abbastanza confortevole, anche se i posti che abbiamo occupato
avevano le poltrone, rispetto a quelle antistanti, con spazi un po’ angusti.
Durante il percorso alcuni passeggeri, che probabilmente in precedenza avevano
socializzato, s’intrattenevano in lunghi discorsi, altri osservavano, in
silenzio, attraverso i finestrini, il paesaggio che scorreva via veloce, pochi
leggevano un libro. Una ragazza si era lentamente assopita e anche se batteva,
di tanto in tanto, la testa contro il finestrino, a causa dei leggeri
sbandamenti del treno, continuava a dormire. E’ tornata pienamente in sé, come se
avesse sentito il rumore di una sveglia, qualche secondo prima che Il treno
arrivasse al punto d'arrivo.
Nel percorso il
treno si è fermato in alcune stazioni: Mogliano Veneto, Mestre Ospedale, Mestre Centrale e Venezia Santa
Lucia.
Il viaggio è durato circa trentacinque
minuti. Il tempo, per noi, è volato rapidamente, poiché eravamo assorti a
contemplare il paesaggio e le scene umane che ci attorniavano. Diana era felice! Lo è sempre quando viaggia
in treno.
Giunti a Venezia
dovevamo svolgere una breve incombenza in Campo (Piazza) San Polo, poi la
giornata sarebbe stata tutta nostra. Appena usciti nel piazzale Roma, il
paesaggio si presentava, anche per noi che Venezia l’abbiamo visitata più volte, incantevole. Il fascino di Venezia, con
i suoi meravigliosi palazzi, il Canal Grande, le gondole, il vaporetto, ecc., ci
ha avvolti, come un grande mantello.
Numerosi turisti
percorrevano i marciapiedi (per i Veneziani le fondamenta) e salivano le
scalinate dei numerosi ponti, soffermandosi, di volta in volta, sulle loro
sommità per ammirare il paesaggio da entrambi i lati e, poi, fotografarlo. Si vedevano
luccicare variegate videocamere e macchine fotografiche digitali e non, che peraltro
immortalavano anche le gondole che passavano sotto i ponti. I turisti erano numerosi. Abbiamo notato che c’erano,
in prevalenza, cinesi e giapponesi, oltre naturalmente, inglesi, tedeschi,
ecc., probabilmente erano scesi dalle numerose e piccole navi ancorate sulla
banchina ai limiti del Canal Grande.
In una delle tante
piazzole (campo per i Veneziani) vi era un uomo e una donna vestiti con costumi
d’epoca, erano accostati, e, davanti a loro avevano posato, a terra, un capiente
cestino in giunco, per raccogliere il frutto della loro attività. Chiedevano a chi
li fotografavano, una moneta (un euro). Se qualcuno non metteva l’obolo, per
dimenticanza o furbizia, con forme alquanto eloquenti lo invitavano a farlo
subito.
Dopo aver superato
il Ponte di Rialto e percorso un breve tratto di fondamenta, siamo giunti alla
nostra meta. In poco più di mezz’ora siamo riusciti a portare a termine l’incombenza.
Eravamo, da questo momento, senza vincoli, liberi di visitare, in lungo e in
largo, Venezia.
Ci siamo subito
diretti, a piedi, verso Piazza San Marco e, nel percorso abbiamo visto pregevoli
opere, di pittura e scultura, esposte in alcune chiese con ingresso libero. Osservando
le scritte e le indicazioni riportate nei palazzi all’inizio delle vie, siamo
riusciti, pur avendo abbandonato una cartina topografica di difficile lettura, ad
arrivare, senza alcuna difficoltà, in piazza San Marco davanti alla maestosa
cattedrale. Abbiamo potuto osservare soltanto la sua meravigliosa facciata, con
i bellissimi mosaici e le sue sculture, poiché era impossibile entrare in
chiesa per la lunga e larga coda di turisti che in fila attendevano, pazientemente,
di visitare la Basilica. Il corteo dalla porta del duomo arrivava oltre le colonne di San Marco e San Tòdaro. Alcuni
turisti in fila, mettevano a profitto l’attesa comprando, passando vicino a un botteghino
collocato nel percorso, alcune magliette con la scritta “Venezia”.
Dopo aver ammirato
l’incantevole piazza, con l’orologio e i due mori, ci siamo seduti per qualche minuto, su una panchina in marmo alla
base del campanile, meta, anche questo, di numerosi turisti che salivano sulla sommità
dell’importante manufatto per provare il piacere di ammirare i numerosi tesori
architettonici del luogo.
Nel cammino sin qui
fatto abbiamo incontrato due nomadi che mendicavano, ignorati dai passanti.
Superata la piazza
di San Marco, ci siamo intrattenuti ad ammirare l’isola di San Giorgio che si
trova, in bella vista, sulla linea dell’orizzonte. Abbiamo proseguito, sulla
sinistra, verso le prigioni.
Il Palazzo Ducale
collegato alle prigioni con il ponte, si ergeva imponente. In quel ponte,
chiamato dei “sospiri” vi transitavano i condannati.
Abbiamo percorso la
via per un migliaio di metri e, alla fine, abbiamo notato, a ridosso della
sponda del canale, che erano ormeggiate alcune navi di medie dimensioni.
La strada
(fondamenta) era di difficile percorrenza in quanto, in quel momento, passavano
numerose persone.
Eravamo stanchi perché
da tre ore stavamo camminando. Una panca posta davanti ad un albergo, ci ha
permesso di fermarci e riposare un po’. Il sole cocente riscaldava così forte
che, dopo alcuni minuti, abbiamo dovuto interrompere la nostra sosta e proseguire
il tragitto.
L’ora del pranzo si
avvicinava. Siamo ritornati indietro e, ad un certo punto, abbiamo percorso delle
calli sin a quel momento inesplorate. Alcune, tra un palazzo e l’altro, avevano
una larghezza di un metro e, forse anche meno.
Ci siamo fermati, In
alcune vie secondarie, a guardare i panni stesi al sole ad asciugare, dai colori
talvolta vistosi e variegati, che davano la parvenza di numerose bandiere. Erano
allineati sopra a delle corde, le cui estremità erano ancorate fra due palazzi.
Le funi, con l’ausilio di una carrucola, si spostavano, per le necessità della casalinga.
Abbiamo oltrepassato un ponte, a larghe
pedate, assiepato, in entrambi i lati, da numerosi venditori, non autorizzati, i
quali avevano messo la loro mercanzia sopra a ciascuno scalino in un telo in
lino. Vendevano un po’ di tutto: occhiali da sole, cappelli, orologi, borse,
giocattoli, ecc. Il drappo serviva per raccogliere e portare via in fretta la
merce, nel caso fosse arrivata la polizia municipale, come avevamo potuto
osservare prima di arrivare nel luogo. Avevamo, infatti, assistito ad una
scena: un venditore isolato, sempre illegale, aveva disposto, la sua mercanzia,
sopra un telo quasi bianco, in mezzo alla via (fondamenta) molto frequentata.
Si è avvicinato un uomo, un commerciante o, forse, un vigile in borghese, e gli
ha intimato di spostarsi e di andare da un’altra parte. Il venditore fingeva di
non capire. Allora l’uomo con fare inflessibile gli ha detto: ”O ti sposti o
getto la tua merce nel canale”. Il ragazzo comprese immediatamente il messaggio
e, senza proferir parola, alzò con le mani, con grande rapidità, i quattro angoli
del telo e raccolse, come in un fagotto, ciò che possedeva, dileguandosi in una
strada laterale.
Dopo aver
esaminato, nei ristoranti che incontravamo, i “ Menu” esposti ed i prezzi in
essi indicati, abbiamo deciso di scegliere una trattoria che praticava il prezzo
fisso. Nella carta che ci hanno portato non siamo riusciti a capire perché proponessero
il “Menù” distinguendo quello “Italiano”dal “Veneziano”. Abbiamo optato per una
pastasciutta con seppioline (l’odore era sgradevole) l’ho mangiata, a fatica, soltanto
per appagare il mio appetito, poi una frittura di pesce, non abbondante, tuttavia
abbastanza buona, con un piattino di verdura cruda, completamente scondita,
anche se il cameriere, quando l’ha
portata aveva affermato il contrario. D’altronde l’oliera non poteva essere
contenuta sul tavolo che occupavamo, poiché non superava i cm. 40 x 40. Si
fa per dire, una vera comodità! Era
unito ad un altro tavolo e, dopo che ci eravamo seduti, l’hanno diviso per dar
posto ad altri clienti. Abbiamo inoltre consumato, una birra media ed un caffè.
Eravamo consapevoli che la birra e il caffè ci sarebbero stati addebitati a
parte, anche se nei ristoranti in Treviso, quando si parla di prezzo fisso, comprendono
una bibita e spesso anche il caffè. Il prezzo fisso è reale e, non praticano
alcun extra.
In questo caso,
invece, quando ci hanno portato il conto abbiamo riscontrato che il prezzo
fisso non era tale perché in aggiunta al costo del “Menu fisso”, oltre alla
birra e al caffè ci hanno addebitato il servizio pari al 12%. Ci siamo allora
chiesti, se il servizio è addebitato a parte, perché, ad esempio, ci hanno
fatto pagare due caffè cinque euro anziché due?
Abbiamo deciso che,
quando ritorneremo a Venezia, quella trattoria sarà cancellata dalle nostre
frequentazioni e, saremo più cauti nel valutare i fittizi “menu fissi”.
Terminato il
pranzo, piuttosto fugace, siamo usciti e siamo andati ad acquistare due gelati
da passeggio in cono che abbiamo consumato guardando le vetrine di alcuni
negozi. Le botteghe più replicate erano quelle che esponevano le maschere e i
cristalli di Murano. Ci siamo fermati in un punto vendita di vestiti ed abbiamo
comprato una cravatta e, in un altro, una maglietta, a prezzi convenienti.
Quando avevamo
necessità di andare in bagno, anziché recarci nelle toilettes che si trovavano
nel percorso, con tariffa di 1,5 Euro a persona, preferivamo bere dei caffè nei
bar guarniti di tali servizi.
Ci siamo fermati in
una piazza, in cui vi era un albero dalla folta vegetazione che aveva dei
frutti di more rosse pur non essendo un gelso. All’ombra dello stesso erano
state messe, a forma di elle, due panchine. In una era seduta una signora e
l’altra era vuota. Abbiamo approfittato per sederci in quest’ultima. Il sedile
era abbastanza comodo, per cui abbiamo deciso di sostare sino all’ora stabilita
per la partenza.
In fondo alla
piazza vi era una fontanella, molto frequentata, nella quale fuoriusciva
l’acqua dalla fenditura in cui era posto, in origine, un rubinetto. I numerosi
colombi, incuranti delle persone che si dissetavano nella provvidenziale fonte,
o, che si accostavano per riempire la bottiglia, da poco vuota, bevevano, senza
scostarsi, nella piccola pozzanghera che si era formata, in basso, vicino al
chiusino di scarico. Dopo essersi abbeverati, volavano su e giù nella piazza, fermandosi
a beccare, con insistenza, le briciole che cadevano dal pasto frugale che
diverse persone, pur in movimento, stavano consumando.
La Signora, sulla
sessantina, seduta sulla panchina, probabilmente una badante di nazionalità
rumena, telefonava in continuazione. Dopo alcune chiamate sono arrivate due donne
un po’ più giovani, e, della stessa professione. Con grande oratoria le
intratteneva e, da quanto abbiamo potuto capire, pur non conoscendo la lingua,
stava descrivendo circostanze attinenti la propria assistita. Il tono e le
parole che usava non ci sembravano accattivanti, peraltro, palesemente condivise
dalle colleghe. Ad un certo punto ci è sembrato, che tutte e tre inveissero
contro le persone anziane cui facevano riferimento.
Inconsapevolmente stavamo
ascoltando la loro conversazione. Non
appena si sono avvedute che potevamo aver compreso il contenuto dei loro
discorsi, si sono alzate e, in fretta, si sono eclissate.
Un po’ prima dell’ora
prevista, ci siamo avviati verso il tratto che ci portava alla stazione
ferroviaria.
Tanto che abbiamo potuto
anticipare la partenza di un’ora. Il treno regionale in cui siamo saliti si
fermava in ogni stazione del percorso. Ci ha fatto visita il bigliettaio che ha
controllato il possesso e la regolarità dei biglietti.
Eravamo stanchi,
per cui non siamo riusciti ad osservare, con interesse, come nel tragitto
dell’andata ciò che ci girava attorno.
All’arrivo siamo
saliti, dopo circa mezz’ora di attesa, sull’autobus che ci portava vicino a
casa. Siamo scesi all’inizio della via. L’ultimo tratto l’abbiamo fatto a
piedi.
All’arrivo eravamo
stanchi ma felici di aver trascorso una giornata indimenticabile nella grande e
meravigliosa città di Venezia.
(17/7/2012)
Ilario Menegaldo
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